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Stefano Veratti, nato nel 1960, espone dal 1994: è nato e vive a Bologna, lavora come consulente per Legacoop. Ha due passioni: correre i 1500 e scattare fotografie. Persiste nell'uso di pellicole diapositive. Ha illustrato un libro, "Tanghi & Incanti" 1995, Edizioni Tracce Pescara, scritto da Paolo Diani, i Rapporti Attività 2005 e 2006, editi da Altroconsumo, 2006 e 2007, "Si scrive TAXI si legge COTABO" 2008, Coop Editrice Consumatori Bologna.

Tra le sue mostre, si ricordano: "Riflessioni" (1994, Roma Photogrammatica 95); "Occhi" (1996, Roma "Lavatoio Contumaciale"); "Tina Modotti omaggio nel centenario della nascita" (1996, Roma Accademia delle Arti e Nuove Tecnologie); "Frammentitalici" (1997, Parigi Centro Culturale Italiano Luigi Pirandello); "Exit2 Arte in Libera Uscita" (1998, Bologna Galleria Espositiva Teatro Arena del Sole); "R.e.D." (2002, Bologna Galleria Espositiva Teatro Arena del Sole), "Sognidisegni" (2006, Certaldo Palazzo Giannozzi, organizzazione Fondazione D'Ars Milano; 2007; Dozza Imolese Enoteca Regionale Emilia Romagna), "Scorci d'anima" (2007, Canali di Reggio Emilia Spazio Ugo Mulas per la fotografia Agriturismo La Razza), "Armonie Discordi" (2008, Rovereto Biblioteca civica, organizzazione "Il Furore Dei Libri"), "Photo_Trailer_Paradiso" (2008, Reggio Emilia, a cura di Renato Cocchi); "Eternità d'Istanti" (2009, Bologna Libreria Melbooks).

 






 

L’opera di Stefano Veratti si inserisce in quel circuito dell’arte legato alla fotografia "pura", che vede nella scoperta della poesia del quotidiano il suo maggior risultato. L’occhio dell’artista, infatti, si sofferma su particolari apparentemente irrilevanti, che tutti vediamo, ma mai guardiamo nello loro valenza estetica: un’ombra, un riflesso, una trasparenza, una crepa sul muro, una striscia d’asfalto colorata. Poi, grazie a sapienti inquadrature ed a raffinatissimi equilibri cromatici, quasi magicamente si scoprono nuovi pensieri per questi oggetti: l’ombra diventa un profilo umano, la crepa un volto, il riflesso di una vetrina una composizione astratta ricca di suggestioni e di rimandi emotivi.

Stefano Veratti, insomma, sembra avere il dono speciale di "sublimare" il reale, recuperandone quella parte poetica che la nostra disattenzione e fretta ci impediscono di notare. La straordinaria potenza emotiva e concettuale delle sue opere è ancora maggiore se si pensa che la tecnologia usata per realizzarle è, per così dire, "primitiva". L’artista, infatti, non si serve di una macchina digitale, né di particolari accorgimenti in fase di sviluppo e stampa: quello che le sue opere ci mostrano è il frutto di tre semplici gesti realizzati, nel giro di pochi secondi, con una macchina fotografica manuale, due obbiettivi a disposizione (20 mm e 55 mm macro) ed una semplice pellicola da 50 ASA per diapositive: osservazione/inquadratura/scatto. Egli stesso non conosce i risultati del suo lavoro se non quando ritira lo sviluppo delle foto. Pensando a questo semplice modus operandi risulta ancora più strabiliante la "struttura compositiva" delle sue opere. Le sue fotografie, infatti, riflettono la ricerca di una sostanziale armonia interna che gioca principalmente su tre fattori: decontestualizzazione dell’oggetto di partenza, composizioni asimmetriche o simmetrie comunque insolite, esasperazioni cromatiche con accostamenti volutamente discordanti e spiazzanti. Tutto questo in uno scatto di qualche frazione di secondo!

Le opere di Stefano Veratti si legano, da un lato, alle cosiddette fotografie di "grado zero" alla Eugène Atget, quelle cioè che, pur dando l’idea della macchina posta in modo casuale, sono in grado di epifanizzare la realtà, ma non mancano dall’altra, di rimandi "pittorici", tesi ad esaltare rapporti formali, materici o cromatici fra gli oggetti e le suggestioni proposte. Interessante è, infine, notare come la presenza umana sia spesso accennata, ma mai direttamente presentata. L’artista sembra maggiormente interessato alla "trasparenza" dell’uomo, piuttosto che alla sua effettiva presenza: le poche immagini che appaiono non sono altro che ombre o riflessi di persone distratte, forse troppo concentrate su se stesse per comprendere la semplice poesia del mondo che li circonda.

Attraverso le sue opere Stefano Veratti ci mostra un nuovo codice visivo in grado di alterare ed ampliare le normali nozioni di ciò che vale la pena guardare e osservare, e sembra volerci dire, come André Kertész: «La macchina fotografica è il mio strumento. Grazie ad essa do ragione a tutto ciò che mi circonda».

(Matelda Buscaroli)